La rete Arcigay Giovani (nata nel 2005) è composta principalmente dai tanti Gruppi Giovani sparsi in tutta Italia e tutte le persone giovani della nostra associazione. Organizzano eventi, incontri, campeggi e portano la specificità LGBTQIA+ nel mondo giovanile, universitario e delle politiche giovanili in generale. Serena Graneri è la responsabile nazionale di Arcigay Giovani. Le abbiamo chiesto di raccontarci di più questa esperienza di confronto e crescita.
Ciao Serena. Grazie per avermi concesso questa intervista. Ti va di presentarti?
Ciao! Grazie a te per l’invito. Sono una giovane attivista queer, socia di Arcigay da quasi 7 anni che nel tempo libero prova a laurearsi. Le mie grandi passioni sono: viaggiare low cost, degustare Negroni, pogare ai concerti, mangiare grandi quantità di cibo, fare pippozzi, ascoltare musica emo e molestare i miei gatti.
Noi abbiamo una missione simile, quella di dare alle persone più giovani la possibilità di esplorare e acquisire gli strumenti per conoscersi meglio. Ci racconti di che cosa ti occupi?
Ho iniziato ad occuparmi di formazione nelle scuole con Arcigay Torino per poi condurre per diversi anni il Gruppo Giovani locale. Oggi sono nella Segreteria Nazionale di Arcigay con la delega ai giovani e alla rete nazionale Arcigay Giovani. Sia le realtà locali che quella nazionale hanno lo scopo di dare uno spazio a tutte quelle persone giovani che fanno parte o sono interessate al mondo LGBTQIA+. Facciamo educazione non formale tra pari e costruiamo insieme degli strumenti per una nostra elaborazione politica.
La sessualità è una parte importante della vita di ciascuno. In che modo parlarne in gruppo, tra persone della stessa fascia di età può aiutare i partecipanti a sviluppare un approccio sano alla sessualità?
Ogni persona a un certo della propria vita si avvicinerà o si interrogherà sulla propria sessualità/affettività. Solitamente ciò accade durante l’adolescenza e purtroppo viviamo in una società in cui l’argomento è ancora un tabù, anche parlarne nelle scuole sta diventando sempre più difficile. È fondamentale affronta il tema liberamente e avere un confronto costruttivo e senza giudizio. C’è il rischio, se no, che le informazioni vengano apprese tramite i mass media, che spesso sono i primi a perpetuare una cultura tossica.
Conoscere delle persone che vivono esperienze simili alle tue è di grande conforto, ti fa sentire meno sol*. Se ciò accade anche attraverso persone giovani (formate nella gestione dei gruppi) ma un pochino più grandi di te, queste ultime diventeranno degli importanti punti di riferimento.
Se ti dico “autodeterminazione” tu che cosa mi rispondi?
Consapevolezza e libertà. L’autodeterminazione è un percorso, richiede esplorazione, tempo e mettersi in discussione. Molte persone LGBTQIA+ hanno vissuto o vivono in silenzio ciò che sono e dichiararsi tali richiede un grandissimo sforzo a causa delle discriminazioni. Non penso ci sia nulla di più importante nel poter dire al mondo ciò che si è ed esserne orgoglios*, nonostante il mondo ti vorrebbe piegare alla norma.
Quali sono le urgenze che provengono dalla comunità giovane LGBTQ+? Sono cambiate col passare delle generazioni?
Il punto fondamentale era e sarà sempre il potersi dichiarare in famiglia e in tutti i luoghi che si frequentano senza aver paura di essere discriminat* o essere espost* a varie forme di violenze.
Alcune cose rispetto al passato sono cambiate e continuano a cambiare sempre più velocemente. Tendenzialmente grazie a internet e alla grande quantità (anche in italiano) di informazioni disponibili ci si interroga prima su molte questioni e c’è anche un maggiore interesse verso la fluidità e il non binarismo, temi che per me erano ignari meno di dieci anni fa. In un certo senso i/le/* giovanissim* sono il fulcro dei temi politici all’interno della comunità LGBTQIA*+, non si riconoscono nel modello portato avanti dal vecchio movimento LGT perché mettono in pratica la sovversione alla norma (e anche all’omonormatività).
Pensi che la possibilità di aggregazione, la consapevolezza di avere un gruppo di riferimento, fare parte di una comunità siano fattori che permettono ai giovani di vivere la loro quotidianità con più spensieratezza?
Assolutamente sì. La comunità serve: ti dà un senso di appartenenza, un punto di riferimento e per chi è giovane (ma non solo) può rappresentare una famiglia.
Io devo davvero tantissimo alla comunità, sono una persona completamente diversa da prima (in senso positivo). Quando nemmeno io avevo fiducia in me stessa, ho sempre trovato qualcun* che ha creduto in me.
Perché hai deciso di intraprendere questa strada e diventare prima responsabile locale e poi nazionale di Arcigay Giovani?
Mi credi se ti dico che mi ci sono ritrovata? (lunghe risate di sottofondo) Scherzi a parte, mi sono avvicinata ad Arcigay proprio tramite il Gruppo Giovani di Torino. Frequentavo i vari incontri, iniziai ad andare alle altre serate dell’associazione e conoscevo sempre tantissime persone nuove e completamente diverse da me. Mi sono sentita accolta e a mio agio, finalmente non ero sempre la “lesbica” del gruppo di amici del mio paesino.
In quel periodo della mia vita avevo parecchio tempo libero e perciò decisi di partecipare alla formazione per fare i laboratori nelle scuole. Andare nelle scuole mi cambiò completamente la vita, vedere l’effetto dei nostri laboratori sulle persone cominciò a farmi pensare a quanto sarebbe stato importante per me durante le superiori vedere una vera persona LGBTQIA*+ (e non solo quelle poiane di The L World) dire pubblicamente “essere gay è ok, sarai felice”. Mi sarei risparmiata un sacco di sofferenza inutile e avrei vissuto l’adolescenza con più spensieratezza.
Da lì, nel giro di poco tempo, mi ritrovai a gestire il Gruppo Giovani. Anche in questo contesto ho potuto toccare con mano quale cambiamento eccezionale si poteva portare nelle persone. Che poi il cambiamento non lo portavo io, avveniva nelle persone, io potevo solamente fornire alle persone gli strumenti giusti perché avvenisse. Immagina la mia felicità nel vedere nel corso degli anni una delle persone più timide del gruppo diventare quella che trascina tutt* a ballare.
Questo nella rete giovani in un certo senso si moltiplica. Molte persone che partecipano alle nostre iniziative non hanno nelle loro città realtà LGBTQIA*+, perciò quelle 2 – 3 volte l’anno rappresentiamo una fuga dalla quotidianità dove poter essere sé stess* e favolose. Non solo, questa rete ha dimostrato negli anni di poter essere anche uno spazio importante per l’elaborazione di temi politici per tutta la nostra associazione.
Arcigay Giovani, oltre a essere uno spazio sicuro per il confronto è diventato negli anni, ed è sempre più, anche un luogo di esplorazione e ricerca, di intersezionalità, di compresenza di identità diverse. Mi sembra che la stessa esigenza di apertura sia emersa in generale in tutta l’associazione, non solo tra i più giovani. Ci racconti un po’ secondo te da che cosa è scaturito questo desiderio?
Penso che semplicemente siano cambiati i tempi, le persone e le esigenze. Mi ricordo che le prime volte che abbiamo iniziato a parlare di poliamore è stato perché c’erano persone dei nostri gruppi che si definivano poliamorose. Stessa cosa su migranti, BDSM, transfemminismo, ecc. Alla fine bisogna tenere conto che le associazioni sono fatte di persone e non di grandi aure mistiche che decidono per tutt*. Se nella mia associazione c’è una persona non binary e io non so nulla sul tema, mi verrà spontaneo proporre di parlarne e di confrontarmi. Sembra la solita banalità ma ciò ci riporta al “il personale è politico”.
Io stessa ho avuto più volte la possibilità di essere vostra ospite parlando non solo di BDSM ma soprattutto di consenso e relazioni, cosa per la quale vi ringrazio sempre. Venendo dall’attivismo LGBTQ+ per me è un piacere fare da ponte alle mie due comunità di riferimento. A proposito dei temi che abbiamo sviluppato insieme, ti faccio una domanda che fanno spesso a me. Come mai c’è ancora bisogno di parlare di consenso? Ti è capitato di assistere o di venire a conoscenza di situazioni di violazione del consenso all’interno della comunità?
Per me è uno dei temi più importanti e ogni volta che posso ne parlo. Il consenso riguarda tutt*, a prescindere da età, identità sessuale, corpi non conformi e cultura. Purtroppo, essendo che siamo una minoranza, spesso ci sentiamo esonerat* sul trattare la tematica perché “figurati se io che sono un attivista per la libertà dei corpi, la liberazione sessuale ed ecc. non rispetto il consenso”. Invece no, dobbiamo essere i primi a parlarne, soprattutto perché parliamo di autodeterminazione e costruiamo dei safe space. Se non ne parliamo non possiamo neanche porci la domanda “come pratico il consenso?”, quindi lo diamo per scontato e basta. Questo tema ha molto a che vedere con le dinamiche di potere e riguarda chiunque, succede all’interno di qualsiasi rapporto umano. Bisogna però riconoscere che questa cosa esiste e domandarsi come possiamo decostruirlo.
Ti ringrazio molto per la tua disponibilità e per il tempo che hai dedicato a questa intervista. Ti faccio un’ultima domanda e poi ti lascio andare. Come vedi te e la comunità LGBTQ+ italiana tra 10 anni?
Mi immagino a sorseggiare qualche cocktail dopo aver tenuto una formazione al campeggio di Arcigay Giovani. Di sicuro mi autoinviterò e la formazione sarà solo una scusa per poter respirare quell’aria sabbiosa per un paio di giorni e sentirmi ancora giovane. A parte il mio momento di gloria, penso che in qualche modo vorrei fare un passo di lato e sostenere chi sarà più giovane di me a essere protagonista nelle battaglie. Già ora ho la sensazione di essere più indietro rispetto a chi ha 18/20 anni, figurati tra 10 anni!
Spero che il lavoro che stiamo svolgendo ora porterà ad un cambiamento soprattutto nelle pratiche politiche e che in futuro avremo una comunità più unita e portatrice di tante altre istanze politiche.
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